Nella concezione corrente “tappetaio” è spesso sinonimo di “venditore di tappeti”, modo di dire con connotazione spregiativa di chi, senza troppe remore morali ed etiche, cerca di trarre l’immediato e maggior profitto possibile dalla vendita. Personalmente mi sento lontanissimo da tale definizione.
Sin da quando ho intrapreso questa professione sono stato attratto dal fascino dei tappeti a motivo della loro storia, colori, tecnica, simbologia e spesso anche per quello che possono rammentare nel nostro ambito familiare.
L’origine della tessitura si perde nella notte dei tempi, infatti ritroviamo nella cultura di molti popoli il ricordo di antiche divinità che annodavano con i loro telai il destino degli umani. E un aspetto fortemente spirituale il tappeto l’ha sempre mantenuto e non soltanto presso le popolazioni islamiche, ma anche presso gli Armeni, Ebrei, Cristiani, Zoroastriani ecc. che hanno tramandato per secoli, simboli e disegni non codificabili dai non iniziati.
Addirittura vitale era la connotazione pratica, soprattutto presso le popolazioni nomadi dove il tappeto permeava completamente la loro vita fungendo da giaciglio, coperta, contenitore, culla, ornamento ecc.
Diversi sono i materiali usati (lana di pecora, di cammello, di capra ecc., cotone, seta, canapa ecc.), diverse le tinture ( vegetali, animali, all’anilina, al cromo ecc.), tutte variabili che rendono unico e caratteristico ogni singolo pezzo.
Ecco perché anche nella pulizia, che è una componente essenziale per il buon mantenimento del tappeto, non possiamo agire con tutti nello stesso modo. Per fare solo un esempio, ve ne sono alcuni per cui è consigliabile un lavaggio frequente, per altri sarebbe deleterio. È essenziale quindi affidarsi a dei veri professionisti.